Introduzione

Il movimento “Siciliano d’Azione” si è costituito nel mese di Novembre 2021, come spazio di riflessione sul populismo democratico indipendentista e sociale, rivendicando una differenza irreconciliabile rispetto alla rappresentanza politica nelle sue attuali coordinate di sinistra, centro e destra, della nostra isola. Postulando la necessità di una rottura con le pratiche, il vocabolario e le suggestioni culturali in voga, rivogendoci laicamente a tutti coloro che vedono nella politica uno strumento per imprimere una trasformazione profonda della società e un approfondimento radicale della democrazia, attraverso la rivendicazione dell’autodeterminazione del popolo siciliano in tutte le sue forme. Nel corso di questi mesi, abbiamo sviluppato ed esteso il raggio del nostro laboratorio, coinvolgendo diverse centinaia di migliaia di persone. Attraverso la presentazione del nostro manifesto per tutta l’isola, un’attività di propaganda costante sui social media e un approfondimento delle nostre riflessioni sulle varie pagine facebook ufficiale. Siamo riusciti a cementare un nucleo capace di abbozzare i primi elementi di una messa in questione complessiva della società siciliana odierna, tracciando al contempo i lineamenti di un ordine alternativo. Abbiamo catalizzato le forze differenti di molteplici movimenti e partiti per crearne uno nuovo in grado di avere una base forte. Crediamo che la nostra scommessa sia pronta per un salto di qualità. Proponiamo quindi di trasformarci in un movimento, con la missione di estendere quel nucleo e i suoi compiti. Politicizzare le rivendicazioni d’indipendenza attraverso la giustizia, l’uguaglianza e la decenza che permangono latenti nella nostra isola, dargli uno sbocco simbolico adeguato, affinare i ragionamenti sulle svariate tematiche inerenti alla trasformazione socio-politica sono solo alcune delle sfide più importanti che abbiamo di fronte. In tal senso, avanziamo qui una serie di punti da cui far partire la discussione convinti che debbano caratterizzare la nostra identità come soggetto politico che irrompe nello scacchiere Siciliano e non solo. La nostra scommessa è quella di mettere a soqquadro le identità già esistenti: un atto fondativo che si prefigge di inoculare i semi di una nuova storia politica rivolta al futuro. Non un partito per ora, nella convinzione che debbano prima maturare le condizioni adatte, ma un movimento rigeneratore culturale e politico capace di tracciare un orizzonte mobilitatore ed aggregante di tutti i settori subalterni. La nostra volontà di autodeterminazione è un’idea di nazione civica.

LE RAGIONI DI UNA SCELTA.

In Sicilia è in atto un processo fortemente conflittuale per la redistribuzione del potere reale, sia nella società sia nelle istituzioni, che, investendo anche il ruolo della magistratura, tende a stravolgere il disegno del costituente, che attribuisce ad essa, nell’interesse dei cittadini, il compito di garante della legalità indipendentemente da possibili alternanze di maggioranze governative. Proprio a questo fine, e non per elargire privilegi, lo statuto d’ autonomia ha fissato, con particolare solennità ed in un apposito titolo, le garanzie di autonomia ed indipendenza dell’ordine giudiziario e, quindi, dei singoli magistrati, sopratutto nella costruzione dell’alta corte di giustizia, fatta sparire, per rendere la Sicilia sempre più schiava di questa fantomatica nazione. Il ruolo del conflitto Stato - Regione è diventato sempre più significativo allorché, in questi ultimi anni, ha dovuto indagare in misura sempre più penetrante su vicende coinvolgenti i metodi di gestione del potere economico-politico. Le diatribe Stato-Sicilia sono state cancellate da un governo vigliacco solo a pannaggio di una volontà annessionista senza precedenti, con la codardia degli stessi politici siciliani, traditori della patria. Le reazioni in questi ultimi decenni sono state durissime e quanti erano, anche indirettamente, colpiti hanno avuto buon gioco nello strumentalizzare la diffusa insoddisfazione per le indubbie carenze del servizio giustizia, le quali hanno di fatto impedito che nella società civile maturasse la consapevolezza della strumentalità degli attacchi. La parola ‘mafia’, ormai abusata per eliminare Uomini veri, è stata sempre presente nelle logiche di sistema. In questo contesto, l’azione politica Siciliana, è stata assolutamente inadeguata in quanto, invece di porre al centro i problemi della giurisdizione, intesa come potere istituzionale e servizio, si è arroccata soprattutto nella tutela burocratica e corporativa dei propri bisogni personali, in stretta correlazione con alcune preoccupanti degenerazioni del sistema delle correnti che rischiano, così, di disperdere il loro patrimonio ideale, la cui importanza è testimoniata dalla storia della nostra terra. Contro tutto questo e contro le sempre più ampie divaricazioni tra enunciazioni programmatiche e agire concreto, Sicilia Indipendente, rivendica la volontà di autodeterminazione del popolo siciliano, ritiene necessaria ed indilazionabile la formulazione di una proposta che, partendo da una approfondita riflessione sulle cause reali delle disfunzioni e delle alterazioni dello Statuto d’ autonomia rese invalide da uno stato vigliacco, superando i tradizionali schemi, si rivolge a tutti gli uomini e donne di buona volontà per aprire nuove prospettive ad un’azione politica capace di sovvertire le logiche dell’isolamento corporativo e di efficacemente contrastare il progetto di una politica annessionista criminale e burocrate. Occorre, quindi, valorizzare una dimensione del problema giustizia tutta rivolta, nei fatti più che nelle parole, verso i concetti di servizio e di istituzione, che contribuisca a garantire la vita democratica e la legalità del paese nella libertà di riprendere le nostre ‘forze di produzione’ in mando alle oligarchie colonialiste. Per fare ciò è necessario che, intorno alle tematiche di fondo (indipendenza, terzietà, strutture, direzione degli uffici, professionalità, responsabilità, autogoverno) si sviluppi un dialogo serrato tra tutti i siciliani, aperto al confronto e al contributo di quelle componenti della società che, anche in forme ed aggregazioni nuove, avvertono la necessità di una politica libera da condizionamenti e del tutto coerente con il modello costituzionale.

L’obiettivo

è un obiettivo alto, per noi fondamentale, crediamo che raggiungerlo potrà cambiare le nostre vite. Poniamo ai Siciliani, un tema che il sistema dei partiti ha sottovalutato e ignorato. Un tema rivoluzionario in quanto mette in conto un radicale cambiamento dello status quo. Infatti attraverso la nostra memoria storica vogliamo rompere lo status quo! Oltrepassando quegli steccati che ci umiliano ad un passato fatto di menzogne e ipocrisie. Non ha carattere programmatico e non è ispirato a correnti di pensiero ideologiche, filosofiche e universali, non tende a definire un modello sociale. E’ un obiettivo secco, perseguito solo dai Siciliani di buona volontà che vogliono un sistema istituzionale che funzioni basato sul rispetto delle persone, delle regole e sul buon governo. E quello che si dice un obiettivo specifico. La natura del movimento ‘Siciliano d’Azione’ risponde perfettamente al conseguimento di un obiettivo specifico che per essere raggiunto ha bisogno della massima concentrazione delle risorse disponibili e della massima unità delle parti sociali e del popolo Siciliano. Infatti il movimento Siciliano d’Azione solleva temi specifici sentiti come vere soluzioni ai problemi, godono della spontanea, generosa e massima partecipazione per il raggiungimento dell’obiettivo specifico e quindi di per se sono inclusivi e mettono insieme persone delle più diverse convinzioni politiche.

Perchè vogliamo l’Indipendenza?

Desiderare, pensare e poi lavorare per uno Stato indipendente Siciliano non è una questione di destra o di sinistra, non è nemmeno la volontà di porre la Sicilia contro Italia o contro gli italiani. E’ il legittimo diritto che ogni essere umano ha di voler correre incontro alla propria felicità. Sognare, desiderare e poi adoperarsi per realizzare democraticamente uno Stato migliore è quanto di più civile vi sia all’interno di una Comunità. Ogni persona ha una sua ragione per scegliere l’indipendenza della Sicilia: vivere in uno Stato che favorisca l’impresa privata, liberarsi dal malaffare, vedere la storia e la cultura Siciliana finalmente valorizzate, scegliere uno Stato facilmente amministrabile perché più consono con le problematiche mediterranee, e meno europee, prendere atto che le istituzioni italiane sono ormai irriformabili o per tutte queste ragioni messe insieme. Molti si domanderanno se ha senso politicamente un percorso così radicale o se non sarebbe meglio lavorare all’interno dell’Italia per cambiare il sistema e le sue istituzioni. Chi opta per l’indipendenza si è già dato una risposta. Non è possibile cambiare il sistema. Tutti coloro che si sono armati di buona volontà per intraprendere il cambiamento sono stati fagocitati dal sistema stesso. Nessun potere costituito potrà mai essere costituente perché questo lo porterebbe all’annientamento. E’ semplicemente follia pura pensare che il corrotto possa estirpare la corruzione, che lo Stato centralista possa favorire le autonomie locali, che lo sprecone possa finalmente imparare a risparmiare, che il parassitismo statale possa favorire l’impresa privata, che l’arroganza istituzionale possa mettersi al servizio del cittadino, che i molti vengano favoriti a discapito dei pochi, che le eccellenze vengano premiate a svantaggio dei privilegiati, che l’illegalità lasci finalmente il posto alla legalità o che la politica diventi strumento di cambiamento e non più di disfacimento. Settantacinque anni riteniamo siano stati sufficienti per comprendere come questo stato tradisca costantemente le ambizioni e le ricchezze della nostra isola. Sono decenni che sentiamo parlare di riforme e come unico risultato abbiamo avuto la catastrofe sociale ed economica.

Quanto e cosa dobbiamo aspettare ancora?

Tutti noi abbiamo una sola vita da vivere. Meritiamo essere felici e ricchi nelle nostre case e noi nostri territori, gestiti da regole che siano parte della nostra cultura, usi, costumi e religioni. Perché ci deve essere negato il diritto di viverla al meglio? Ci sono Stati dove condizioni di vita migliori sono realtà: Svizzera, Finlandia, Nuova Zelanda e altri ancora. Ci sono strumenti legali che permettono il cambiamento con metodi pacifici e democratici, come il diritto di autodeterminazione.

Allora, perché non realizzare ciò che è possibile?

Perché non realizzare il sogno di vivere finalmente in un luogo dove lo Stato è leggero e si mette al servizio del cittadino, dove chi ha voglia di fare impresa può farla facilmente, dove costruire una famiglia sia un diritto e non più un privilegio, dove il lavoro sia realizzazione, dove poter assecondare il desiderio di conoscenza attraverso l’apertura al mondo, dove trovare spazio per le proprie passioni, dove i più deboli vengano realmente aiutati e non emarginati, dove la libertà si esprima attraverso la responsabilità di ogni cittadino, dove il patrimonio culturale e ambientale abbiano le tutele che meritano, dove chi ha voglia di impegnarsi raccolga le giuste soddisfazioni, dove chi ha di più partecipi con gioia alla crescita della Comunità. Un luogo dove poter finalmente VIVERE e non più soffrire. La Sicilia ha tutti i presupposti e i numeri per diventare indipendente. Perché rinunciare a questa opportunità che gioverebbe a tutti, Siciliani e italiani compresi? Una Sicilia indipendente porterebbe immediatamente un cambiamento profondo anche in Italia. Gli italiani si liberebbero finalmente dal giogo di istituzioni fallite.

Ma cosa significa praticamente essere indipendenti?

Perché non realizzare il sogno di vivere finalmente in un luogo dove lo Stato è leggero e si mette al servizio del cittadino, dove chi ha voglia di fare impresa può farla facilmente, dove costruire una famiglia sia un diritto e non più un privilegio, dove il lavoro sia realizzazione, dove poter assecondare il desiderio di conoscenza attraverso l’apertura al mondo, dove trovare spazio per le proprie passioni, dove i più deboli vengano realmente aiutati e non emarginati, dove la libertà si esprima attraverso la responsabilità di ogni cittadino, dove il patrimonio culturale e ambientale abbiano le tutele che meritano, dove chi ha voglia di impegnarsi raccolga le giuste soddisfazioni, dove chi ha di più partecipi con gioia alla crescita della Comunità. Un luogo dove poter finalmente VIVERE e non più soffrire. La Sicilia ha tutti i presupposti e i numeri per diventare indipendente. Perché rinunciare a questa opportunità che gioverebbe a tutti, Siciliani e italiani compresi? Una Sicilia indipendente porterebbe immediatamente un cambiamento profondo anche in Italia. Gli italiani si liberebbero finalmente dal giogo di istituzioni fallite.

 

Costruire popolo!

La società non esprime un desiderio di annessione italiana. Anzi! Gli eventi traumatici che vive la sicilia in questo periodo storico – crisi economica, perdita del potere di acquisto dei ceti medi e bassi, aumento della povertà, flessibilità lavorativa, corruzione dilagante, sgretolamento del senso di comunità, svuotamento della democrazia e della sovranità popolare – non si traducono automaticamente in una richiesta di bandiere rosse o nere che siano. Crediamo in tal senso che l’insistenza su feticci come l’unità della sinistra o la difesa della Costituzione del 1948, o l’accentramento romano, manchi completamente il bersaglio. Il disagio sociale si esprime oggi giorno attraverso canali, metafore ed organizzazioni estranee alla sinistra e alla destra, in entrambe le sue varianti, quella liberale e quella radicale. Proprio per questo, un progetto politico che si rifà a quel bagaglio simbolico – e all’unione delle sue propaggini – non fa altro che rivolgersi a un settore di “convertiti” sempre più esiguo. Se la politica liberale si acquieta nella gestione dell’esistente nel tentativo di neutralizzarne gli elementi conflittuali a favore dei settori che detengono il potere economico e politico, la politica radicale continua a mettere in campo un’operazione anti-egemonica: invece di ambire alla totalità, si trincera nella parte. Una politica raffazzonata, confusa e sbruffona ha determinato una incapacità identificativa nel tessuto sociale, cosicché destra e sinistra sono divenute due facce della medesima medaglia, e la sicilia una colonia di sfruttamento indipendentemente da chi vi fosse al governa senza alcuna distinzione. “Movimento Siciliano d'Azione” è un’idea di nazione civica, un’identità di contenuti sociali e culturali, di integrazione. Nella società Siciliana, con gran parte della popolazione venuta da fuori, non esiste il siciliano da un punto di vista etnico. L’indipendentismo è un movimento politico con radici civiche, ed è anacronistico definirlo come nazionalismo. Non lo è e pretende non esserlo! Diverse ragioni spiegano l’incapacità della politica di assolvere a quel compito che fu nel passato patrimonio dei movimenti autonomisti/indipendentisti socialcomunisti. Dopo l’89, si è considerata finita la fase storica otto-novecentesca della rappresentanza degli interessi sociali e le forze politiche si sono dedicate a svolgere il compito assegnato loro dal sistema neo-liberale capitalista e imperialista, dove la Sicilia, è stata terra di conquista e di sfruttamento delle grandi superpotenze, dove le forze ‘sicilianiste’ hanno avuto poco impulso se non in qualche vago esperimento subito dopo fallito nel nulla. Alternandosi al governo, tanto le forze di destra quanto quelle di sinistra, fedelmente incarnando il ruolo di garanti dello status quo, abbandonando pressoché ogni riferimento alle classi medie e subalterne. In questa apparente dialettica democratica, ai governi trasformistici della Terza Via è toccato l’abbandono della rappresentanza politica del conflitto sociale, cui ha corrisposto l’assolvimento del compito “istituzionale” di selezionare il personale tecnico più competente e politicamente allineato ai dettami della globalizzazione neoliberale, sotto le insegne di un mito tecnocratico pervasivo. Al contempo, anche la politica radicale è responsabile del divorzio tra democrazia e conflitto, facendo gli interessi di una nazione come quella italiana, dove gli interessi e le problematiche risultano essere troppo eterogenee rispetto al folle tentativo di accentrare tutto sulla capitale romana, luogo e sede di una costituzione oggi fallimentare. La residualità e l’impoliticità dei settori della politica radicale, che agitano il conflitto al di fuori di un disegno popolare organico, hanno fatto sì che la politica venisse percepita dai più come un’élite benpensante non in grado di parlare la lingua del popolo e di interccettarne le istanze. Sull’altro lato, la risposta della destra, che ha egemonizzato il potere e il discorso politico dalla metà degli anni ’90 fino a pochi anni fa, si è svolta anch’essa tutta all’interno del campo neo liberale, deviando il malcontento su falsi obbiettivi interni agli stessi ceti popolari. Puntando su una frammentazione della popolazione in una miriade di interessi contrapposti, la destra ha strategicamente spinto sulla divisione dei ceti medi tra nuovo lavoratore “autonomo” e vecchio dipendente, tra nativo e straniero. Così facendo, la società ne è risultata disintegrata, con un aumento dei livelli di subalternità: in altre parole, la destra ha costruito linee di fratture basate non sul rapporto alto/basso, ma orizzontalmente all’interno dello stesso corpo sociale. Da una parte spingendo sulla contrapposizione dentro il processo economico e produttivo nel caso della destra berlusconiana, dall’altra rinnovando una nozione di comunità escludente, razzista e aggressiva, nel caso di Lega Nord e Fratelli d’Italia. In entrambi i casi, il risultato perseguito in maniera convergente è stata la divisione dei gruppi sociali popolari, che si sono poi trovati a fronteggiare la crisi e l’impoverimento successivo nelle peggiori condizioni e privi della necessaria unità. Il M5S a sua volta si è fatto strada cavalcando la crisi, puntando su una riunificazione della popolazione attraverso un discorso moralistico, tutto chiuso anch’esso dentro il neoliberalismo, incapace di schierarsi da una parte o dall’altra nella battaglia di interessi economici e sociali contrapposti. Tutto questo ha solo portato ad incapacità gestionale della politica, ed un menefreghismo verso gli interessi della nostra Sicilia, lasciata a se stessa, nella totale non curanza di una classe politica assolutamente non adeguata. Di fatto, il tentativo di riunificazione di tutti i movimenti sia essi autonomisti che indipendentisti si è già rivelato effimero, la tracotante volontà di egemonizzare l’idea indipendentista in qualcosa di assolutamente personale risulta dannosa al bene comune di un popolo già abbastanza dilaniato dalla strafottenza politica. Tutti gruppi ben lontani dal mettere in discussione gli assetti strutturali di potere economici e politici esistenti, che non sono all’ordine del giorno, ma più interessati a giocare una partita per il potere fine a se stessa, che ha prodotto poco o nulla, se non niente. Crediamo quindi opportuno mantenere le debite distanze rispetto a tutti gli attori che si muovono all’interno del perimetro conosciuto. L’articolazione che ci proponiamo non è quindi quella tra ceti dirigenti ormai privi di séguito, bensì quella delle maggioranze sociali uscite sconfitte dalla crisi, a cominciare dai giovani che si sobbarcano tra un lavoro precario all’altro, gli sfrattati dalla riforma della Fornero, i disoccupati, quelli che vedono il proprio territorio piegato a interessi privatistici e più in generale tutti coloro che faticano ad arrivare alla fine del mese. Tutelando l’emigrazione di massa dei nostri giovani verso un mondo migliore. La nostra missione è quella di trovare un minimo comune denominatore per tutti gli sfruttati di oggi e costruire insieme un orizzonte di emancipazione a partire dalle domande sociali che sono sistematicamente evase dalle istituzioni. In Sicilia esiste inoltre ancora una pluralità di strutture, complesse o semplici, di tipo associazionistico, dai sindacati attestati (quando va bene) su risposte meramente difensive, sempre più frammentati nei singoli luoghi di lavoro e smarriti rispetto al panorama futuro, alle tante organizzazioni che esprimono rivendicazioni particolari, siano esse associazioni strutturate o comitati, a cui è giunto il tempo di proporre nuove coordinate di ri-aggregazione all’insegna di un processo di cambiamento e di estensione in senso radicale della democrazia, in senso tecnocratico e sociale. Costruire popolo significa oggi mettere in piedi un processo politico trasversale dal quale muovere alla conquista della società civile nelle sue varie articolazioni e alla riunificazione dei segmenti di popolazione disintegrata. Solo mettendo insieme le domande insoddisfatte sulla strada di un’egemonia discorsiva, saremo capaci di farci senso comune per lanciare l’assalto al XXI secolo l’ideale d’Indipendenza del nostro popolo.

 Perché riscattare la patria.

Una Sicilia indipendente è un progetto di giustizia sociale e di diritti umani, non di bandiere ma di radicalità democratica e sociale, impossibile da realizzare nello Stato italiano che non ha fatto pulizia del fascismo, in mano a oligarchie con a capo un sistema oligarchico corrotto. Ci sono ragioni storiche e contemporanee che avallano una Sicilia indipendente in una visione progressista. A chi associ l’indipendentismo siciliano all’estrema destra vorremo capisca che quello siciliano è un caso esemplare di costruzione di una repubblica di diritti sociali. Troviamo che un progetto come il nostro debba rendere centrale il riferimento alla patria e, in generale, alla simbologia e mitologia dell’identità collettiva nazionale Siciliana. Ciò deve avvenire resignificando la nozione di patria come un luogo aperto, di integrazione e di rispetto e di protezione dalla “violenza” dei mercati globali. Non più, dunque, una concezione esclusiva, un discorso di stirpe, ma un amore per l’ambiente e i luoghi che si traduce in un’attenzione per il benessere sostanziale verso tutti quelli che la abitano. Una concezione, inoltre, che fa leva sul sentimento di indignazione nei confronti delle ingerenze che la nostra isola è sempre più spesso costretta a sopportare. Fare riferimento alla patria, quindi, significa anche reclamare il recupero di quella sovranità popolare – ossia la possibilità che sia il popolo Siciliano a decidere del proprio destino – sottratta dalle imposizioni europee. D’altro canto, l’indipendenza sostanziale della Sicilia è un compito rimasto per molti versi incompleto sin dal Risorgimento e la cementazione di un sentimento solidale e comunitario è un nodo ineludibile per un progetto populista. La riduzione delle differenze socio-economiche tra Nord e la nostra isola, l’integrazione dei territori, la costruzione di un immaginario collettivo che cementi la fratellanza, l’esaltazione delle differenze locali come tesoro nazionale inestimabile: sono questi alcuni dei capisaldi della nostra concezione di patria. Per noi quest’ultima non è dunque un luogo di esclusione e di gerarchie, ma lo spazio in cui avviare un percorso di rettificazione delle ingiustizie e di riappropriazione delle istituzioni da parte dei settori sociali più umili. In ultima istanza, il tema della patria è il tema dello spazio concreto di articolazione della democrazia sociale e della sovranità popolare. Crediamo altresì che la Sicilia rimanga il detentore di un capitale simbolico e politico capace di incidere fortemente sulla realtà socio-economica. Non è un caso che quando i mercati finanziari entrano in crisi, l’apparato statale venga chiamato in causa per tenere in piedi il “sistema” (si veda la crisi dell’autunno 2008 o la BCE che finanzia a costi bassissimi le grandi imprese multinazionali) a discapito di piccola e media impresa. Oggi, rivendicare democraticamente “sovranità” e “patria”, sottraendole all’avversario, non significa chiudere i confini dello Stato-nazione e tener fuori stranieri e migranti, a tutti gli effetti parte integrante delle classi popolari escluse ed emarginate; tale rivendicazione parte dalla convinzione che il livello aggregativo minimo per consolidare un nuovo blocco storico, con un profondo radicamento popolare e un’ampia capacità di mobilitazione, non può che essere lo Stato; nonché dalla consapevolezza che la sovranità economica e politica è una condizione necessaria (per quanto non sufficiente) per l’affermazione della sovranità popolare. Il che non implica l’abbandono di una prospettiva internazionalista, semmai il suo opposto, cioè l’avvio di un processo di costituzione reale di un internazionalismo effettivo e non di facciata, centrato sulle comunità e la solidarietà, e su un’agenda politica che muova dalla questione sociale.

La dimensione europea

Le classi dirigenti del vecchio continente utilizzano massicciamente il mantra europeista per giustificare la cessione di pezzi di sovranità a entità sovranazionali e intergovernative, quale è l’Unione Europea. Questo dispositivo è funzionale allo svuotamento degli istituti democratici, cioè all’eliminazione del demos di riferimento, per l’apprestamento di un sistema istituzionale oligarchico, che esclude qualsiasi alternativa a se stesso. La nostra convinzione è che l’UE sia un progetto troppo sedimentato per poter essere “democratizzato”. I suoi meccanismi istituzionali sono stati costruiti escludendo la possibilità di un cambiamento reale della sua politica oligarchica e depredatrice. In tal senso, crediamo che un tentativo per avviare un cambiamento della sua natura possa anche essere fatto come gesto di buona volontà, ma che rischi di risultare velleitario se non è accompagnato da un progetto alternativo. Come già abbiamo visto nel caso greco, le belle intenzioni e i fini ragionamenti non bastano: stiamo parlando di poteri attrezzatissimi per la difesa del privilegio delle élite. Per questo, crediamo importante cimentarci con tutti gli scenari che si aprirebbero qualora la difesa della democrazia venisse ostacolata dalle istituzioni europee. Al contempo, ci rendiamo conto che l’ostilità nei confronti dell’Unione Europea non è maggioritaria nel Paese che ci colonizza. Serpeggia sì un senso di sfiducia nei confronti delle sue istituzioni, ma di intensità ancora limitata. Il peso delle istituzioni europee sulla realtà che vive il Paese non è oltretutto percepito in maniera così netta. “Movimento Siciliano d'Azione” non vuole diventare un movimento mono-tematico o semplicemente protestatario, bensì aderire in maniera dinamica e dialettica al sentire delle masse, attraverso un rapporto di costante retro-alimentazione. Per questo, la nostra critica alle istituzioni europee deve andare di pari passo a una politicizzazione progressiva delle istanze sociali ed economiche più dirimenti. D’altronde, l’Europa rimane un piano privilegiato che non va cancellato, ma ricostruito su linee diverse da quelle attuali. L’Europa dei mercati va infatti sostituita da un’Europa dei popoli e della solidarietà che rimetta al centro la questione sociale. Difesa delle tradizioni e delle minoranze etniche. Sicilia Indipendente si propone di elaborare dei modelli di integrazione europei – e in particolare euromediterranei – alternativi alla UE che restituiscano sovranità lì dove la sua cessione ha avuto conseguenze socio-economiche nefaste e comportato un deficit democratico, ma mantenendo una forte cooperazione su aree di interesse continentale ineludibili.

Un populismo serio

Il programma del “Movimento Siciliano d’Azione” è possibile per i prossimi anni di legislatura e mira a sradicare alla base le dipendenze che impediscono lo sviluppo dell’isola. L’indipendenza non è un ideologia, è un risultato storico che si raggiunge sommando insieme molte libertà che in questo momento in Sicilia non sono garantite. Ai siciliani è negata la possibilità di gestire il sistema dei trasporti secondo le loro necessità. Nel quadro della pianificazione colonizzante italiana, in questo settore la nostra isola è una periferia. I porti siciliani non sono considerati prioritari. Stesso discorso per gli aeroporti. Rivendicare soggettività politica significa gestire il sistema dei trasporti come se la Sicilia fosse il centro di sé, crocevia del mediterraneo e non la periferia di qualcos’altro. Restituire centralità politica alla Sicilia non vuol dire che nei prossimi anni raggiungeremo l’indipendenza. Significa piuttosto che utilizzeremo tutta l’autonomia che abbiamo a disposizione nell’attuale quadro istituzionale, ma sino a mostrarne i limiti. Limiti che vanno superati. Il movimento Siciliano d’Azione vuole fare sul serio, vuol dire in primis mantenere un atteggiamento di decenza, di rettitudine, di onestà intellettuale, rigettando arrivismi e personalismi, così come qualsiasi atteggiamento razzista, fascista, omofobico e sessista. Per noi, inoltre, i diritti civili e umani sono conquiste di civiltà che ci prefiggiamo di difendere senza sconti e di approfondire il più possibile. Fare sul serio vuol dire però anche un’altra cosa. Dopo aver generato una riflessione puramente teorica sul populismo, abbiamo deciso che è arrivato il momento di iniziare a incarnare concretamente quella tensione conflittuale che fino ad ora abbiamo solo prospettato a parole. Questo vuol dire che la riflessione astratta sul populismo continuerà a ricoprire la sua importanza, ma cederà progressivamente il passo alla pratica vera e propria. Una pratica che non si incentri unicamente sulla "pars destruens", ma anche su quella "costruens", nella convinzione che è solo la proiezione di un orizzonte di società concreto, dettagliato e tremendamente serio possa fare breccia e distinguerci dai populismi escludenti, di destra, sinistra o ambigui. La nostra bussola è quindi quella di agire populisticamente ed egemonicamente al contempo: è solo prospettando un ordine al posto del caos che la nostra proposta potrà essere davvero seducente. Ci sforzeremo di programmare una nuova scuola, con nuovi programmi sulla reale storia della sicilia e del risorgimento italiano. Nuove infrastrutture per riallacciare i punti estremi dell’isola con tecnologie avanzate e ad alta velocità. Una fitta rete di comunicazione tra i centri più importanti dell’isola. Svolgendo un’appropriata volontà a incrementare posti di lavoro per un’economia siciliana. Ogni volta che il lavoro viene indicato come un’emergenza si finisce per prendere soluzioni tampone. Soluzioni in cui noi non ci riconosciamo. Non abbiamo alcun piano straordinario del lavoro. Perché il lavoro non è un problema straordinario, è un problema ordinario, che va affrontato attraverso il raccordo di tutti gli ambiti produttivi, dall’ambiente all’industria, dalla cultura alla salute propri della nostra isola. Fatte salve le situazioni di urgenza che occorre risolvere con gli ammortizzatori sociali, la risposta deve essere una micro progettazione territoriale che tenga conto delle esigenze e delle vocazioni delle diverse zone dell’isola.